Storia, non avventura

«Europa Socialista», settimanale di politica e cultura diretto da Ignazio Silone, Roma, a. I, n. 6, 16-31 maggio 1946, p. 5.

STORIA, NON AVVENTURA

Di fronte alla Costituente molti italiani sembrano come meravigliarsi per un avvenimento inaspettato, per un’occasione che il loro senso storico non calcolava, quasi artificiosamente creata per sovvertire un ordine di sviluppo naturale, per introdurre l’azzardo di un’avventura fuori tempo. Mentre altri, migliori ma piú provvisti di entusiasmo messianico che non di concretezza e di orientamento nella vicenda del popolo italiano, si accendono di un’ansia sproporzionata, del gusto di una volontaristica forzatura, di un’improvvisa violenza sul ritmo normale.

E certo la Costituente – specie quando si misuri la sua entità sullo sfondo del cocciuto sforzo delle destre a rimandarla, ad ostacolarla in ogni maniera – costituisce un atto decisivo nella nostra nuova vita democratica, un atto profondamente rivoluzionario. Tanto piú se di nuovo si confronta con l’indecisione e l’amore dello status quo comune esistente, che il fascismo non fece altro che rinforzare nella timida mentalità conservatrice di molti italiani che da conservare molto spesso hanno solo questo loro conformismo, questa beata voluttà di inchinarsi e venerare segni e persone, questa arcana felicità di essere in regola fin nel piú riposto pensiero con una realtà preformata, la cui disposizione gerarchica e crudele pare accrescere per loro l’ampiezza, la complessità ordinata della vita. Gente per cui non vale mai, in eterno, la frase di un nostro prosatore contemporaneo, C. E. Gadda, secondo cui «c’è nel mondo qualche cosa che è passato di cottura».

Ma, d’altra parte, per rivoluzionario è ormai tempo d’intendere non un’arbitraria lacerazione del tessuto storico, non una romantica rivolta di sfogo o una illuministica decisione programmatica su di una carta bianca, ma piuttosto l’atto tempestivo e risoluto dell’operazione maieutica, l’interpretazione e la traduzione pratica di un moto giunto a maturazione: atto che implica un animus rigeneratore e può colorarsi di uno sdegno morale, ma che sempre ritrova la sua fecondità nella sua storica concretezza. Insomma la formula del Cuoco: «intendere ciò che il popolo vuole, e farlo» trasformata piú modernamente e, con la correzione anch’essa provvisoria della engelsiana amministrazione delle cose, avviata ad un senso di rivoluzione che non sia sovrapposizione schematica, ma condotta e coscienza di moti complessamente giustificati nella realtà operante.

Ebbene, la Costituzione in Italia risponde chiaramente a quel lungo processo ovviamente indicato nel bisogno di una vera struttura di Stato italiano (non la semplice estensione dell’equivoco statuto albertino e la giustapposizione nord-sud), ma soprattutto vivo nell’integrazione essenziale del moto risorgimentale (moto di unificazione per la libertà, si badi bene, non per la potenza, come in Germania) e del movimento socialista che nella sua natura internazionalistica portava il concreto bisogno di un’operazione hic et nunc nel popolo italiano. Proprio quell’unione di “cittadino” e di “compagno” che pare indicare l’esigenza risorgimentale dei diritti alla libertà, all’eguaglianza dinanzi alla legge e il suo sviluppo moderno nell’esigenza dei diritti sociali senza cui i primi si sono mostrati formali ed illusorî, e senza cui non pare piú lecito parlare di cittadini, concedere la qualifica di cittadino a chi non partecipi alla vita della sua civitas, della sua comunità con il lavoro e l’animo del lavoratore: come appare difficile considerare veramente compagno chi nella costruzione della nuova città dell’uomo non elevi insieme le norme del cittadino, il riconoscimento dell’altro lavoratore come centro di coscienza, come bisognoso di libertà, e non senta la classe lavoratrice come portatrice dei valori umani piú alti, delle tradizioni piú alte della civiltà.

Tutta la storia italiana dell’epoca storica che ancora viviamo (il novecento è il grandioso realizzatore e approfonditore di temi posti dall’ottocento) è un’elaborazione di premesse a questa nuova comunità, in cui la coincidenza di socialismo e di interessi nazionali si venne dimostrando sempre piú urgente e bisognosa di quella prima sanzione legale che è appunto per noi la Costituente, con i suoi compiti e la sua destinazione largamente socialista.

I violenti moti internazionalisti con cui il socialismo si annunciò in Italia contro il figurino del “cittadino” intimamente deformato in sfruttatore o sfruttato, furono lo stacco essenziale di cui il popolo italiano ebbe bisogno da una situazione risorgimentale ormai paralizzata; e l’opera veramente mirabile che il socialismo ufficiale compí con l’organizzazione dei lavoratori e la loro autoeducazione alla gestione economica e all’amministrazione pubblica costituí un momento ineliminabile per tutta la storia italiana proprio nella sua struttura nazionale. E quando, dopo la prima guerra mondiale, si dovevano porre le basi per un’Italia veramente moderna, fu di nuovo la parola del socialismo che presentò i temi della nuova costruzione: tanto falso è il quadro di un socialismo sovversivo di fronte ad una presunta costruttività dei conservatori nazionalisti, veri infossatori delle loro nazioni nella triste tomba del fascismo, e tanto piú giusto il riferimento a quel complesso movimento popolare e nazionale che voleva, secondo la frase del discorso turatiano del 26 giugno 1920, «rifare l’Italia» con il deciso distacco dalle vecchie sopravvivenze reazionarie e con una concreta responsabilità di larga unione delle forze produttive verso una produzione garantita e a garanzia di migliore ripartizione e verso una nuova figura del cittadino.

Quella coincidenza che non trovò una prima soluzione allora, torna di nuovo e con piú urgenza a porsi di fronte nella situazione di un’Italia che può costruirsi finalmente, proprio nel momento della sua maggiore miseria, solo nella direzione del socialismo: garanzia dei diritti del cittadino (che può realizzarsi ormai solo nella Repubblica), garanzia dei diritti del lavoratore, distribuzione appoggiata a miglior produzione e produzione migliore ottenuta con la socializzazione delle grandi industrie e con la partecipazione degli operai e dei tecnici alla gestione, riforma agraria e industrializzazione progressiva dell’agricoltura, inserzione dell’Italia in un tessuto internazionale che piú di ogni altra nazione ha interesse a vedere pacifico, portando la sua politica estera su di un piano veramente internazionale, sottraendosi ad ogni barbara tentazione.

Questi ed altri (e tra questi l’apporto di energie fresche intellettuali di figli di lavoratori nelle scuole fino all’Università) sono i tempi che il socialismo italiano pone ormai quasi al di là del suo stesso programma, come maturate esigenze di un processo storico, di una situazione concreta. E perciò ci pare che la Costituente nei suoi compiti essenziali sia storia, non avventura, alla stessa maniera come il socialismo si presenta ormai come la soluzione economica e politica piú aderente alla storia, alla realtà italiana.